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di Antonella Baccaro

Massolo, presidente del comitato promotore: «La partita è aperta, abbiamo visitato almeno 100 Paesi. Offriamo a tutti progetti in comune»

Lunedì prossimo è una data importante per la candidatura italiana di Roma all’Expo 2030. Arriva in Italia Dimitri Kerkentzes, segretario generale del Bureau international des Expositions (Bie), organismo deputato a scegliere chi ospiterà l’evento. Ne parliamo con Giampiero Massolo, diplomatico, ex direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, oggi presidente del Comitato promotore Expo Roma 2030.

Cosa ci aspetta?

«Kerkentzes è già stato in Corea del Sud e Arabia Saudita, Paesi concorrenti insieme con l’Ucraina. Verificherà lo stato di consapevolezza e sostegno del Paese e la realizzabilità del progetto. Avrà contatti con le istituzioni, vedrà il sito prescelto, a Tor Vergata, e il mondo imprenditoriale».

La candidatura di Roma riuscirà a risultare unitaria?

«Lo è. È una sfida nazionale: è l’Italia che si candida, non una città, una regione o un partito politico. É una partita che non si può giocare solo a livello delle istituzioni, sia pure importanti. Serve che si mobiliti l’intero sistema-Paese, come già sta facendo».

In cosa la candidatura italiana differisce dalle altre?

«La nostra non è una candidatura per mettere in mostra Roma, che è già nota. Vogliamo dimostrare quello che può fare il mondo insieme, se collabora. Perciò non ci limitiamo a chiedere il voto agli altri Paesi ma offriamo percorsi di collaborazione e la realizzazione di progetti comuni a tutti, senza distinzione».

Il titolo scelto è «Persone e Territori: rigenerazione, inclusione e innovazione».

«Un tema abbastanza ampio perché tutti vi si riconoscano ma non troppo generico, come mi pare siano alcuni altri . Gli Expo non sono fiere campionarie ma servono a far progredire le relazioni internazionali, per questo sono necessari contenuti precisi. Altrimenti il rischio è fare il conto dei soldi e basta».

Centrale è la sostenibilità?

«Sì, l’abbiamo declinata progettando il parco solare più grande del mondo a Tor Vergata. Ma il nostro obiettivo è anche quello di stimolare e promuovere una generazione di giovani sensibili al tema. Per questo il 19 gennaio università e centri di ricerca saranno coinvolti».

Che speranza ha la candidatura di Roma?

«La partita è apertissima. La modalità attraverso cui nel novembre 2023 voteranno 170 governi, a scrutinio segreto, rende tutto imprevedibile».

Ci sono schieramenti?

«Non ci sono più logiche simili: è difficile che qualcuno possa dire di avere già vinto».

Cina, ma soprattutto Russia, ci giocheranno contro?

«La Cina ha ritirato la propria candidatura, così come Mosca. I Paesi sembrano andare in ordine sparso, al massimo ci sono due schieramenti: l’Occidente e il resto del mondo. La Russia non sarebbe in grado di gestire 170 Paesi con lo scrutinio segreto».

Quali fattori contano?

«Ci sono Paesi più sensibili ad argomenti di collaborazione, come il nostro. Poi ci sono quelli che vogliono invece risultati più immediati…».

Lo scandalo dei Mondiali del Qatar e quello del Parlamento europeo sfavoriranno l’Arabia Saudita?

«Alcuni Paesi potranno essere più condizionati da come si sono svolti i lavori preparatori in Qatar e dallo scandalo successivo. Ma per noi ora è importante andare avanti sulla campagna elettorale: con i rappresentanti del governo e del comitato abbiamo visitato almeno 100 Paesi. Non è il momento dei bilanci».

Ma che sensazioni ha?

«Il mood è generalmente favorevole: viene apprezzata la qualità del progetto, l’inclusività, l’importanza di un ritorno dell’Expo in Europa. Dal punto di vista dell’alternanza geografica, dopo l’edizione a Dubai e la prossima a Osaka, è il momento dell’Europa».

È alle viste una candidatura congiunta con l’Ucraina?

«Non ne sono previste. Possiamo lavorare insieme perché l’Expo torni in Europa e poi si vedrà. Certo, se vincessimo noi daremmo a Odessa ruolo di co-ospite».

L’Expo di Milano è un modello? E per cosa?

«Per la mobilitazione che accompagnò l’evento. Ma anche per il concetto del dopo-Expo. Abbiamo iniziato a pensarci subito per evitare “cattedrali nel deserto”».

E cosa resterà a Roma?

«L’area diventerà un distretto della scienza, della tecnologia e della ricerca. E i Paesi che lo vorranno, potranno rimanerci. Il progetto Ratti sviluppa anche una modalità di accesso all’area valida indipendentemente dall’Expo».

Dialogheranno il governo di centrodestra e l’amministrazione di centrosinistra?

«Da troppo tempo manca all’Italia un grande progetto. Non possiamo più permetterci di perdere occasioni di questo tipo. Noi diamo il meglio quando siamo sotto pressione. Sono piuttosto ottimista sul fatto che tutto verrà realizzato in tempo e bene».

Il turismo se ne avvarrà?

«Stimiamo un flusso di 30 milioni di persone, sui 21 di Milano. Con la creazione di 51 miliardi di valore aggiunto e 300 mila posti di lavoro».

15 gennaio 2023 (modifica il 15 gennaio 2023 | 23:30)